Leone o gazzella?

Teorie evolutive del sovrappeso

Il grasso corporeo è sotto il controllo di numerose variabili, per questo l’obesità comune viene identificata come una patologia multifattoriale. Questo significa che nel determinarla interagiscono numerosi fattori ambientali come ad esempio l’iperalimentazione ma anche fattori genetici, con oltre 200 varianti di circa 40 geni a influenzare aspetti metabolici legati all’obesità.

Ma se l’obesità correla con buona parte delle malattie del nostro secolo quali malattie metaboliche e tumori, com’è possibile che nel corso dell’evoluzione si siano potuti trasmettere geni così svantaggiosi? Cerchiamo qualche risposta.

La ricetta dell’evoluzione

Il DNA rappresenta una sorta di ricettario, ogni individuo esistente sulla terra dal più microscopico a quello mastodontico ha una sua ricetta che descrive esattamente come crearlo: quali ingredienti, in che ordine, tempi di cottura, quantità di sale e tutto il resto. La natura in questa immagine è una nonna che ci vede poco, ogni tanto nel preparare una ricetta legge male e fa dei piccoli errori di ingredienti o quantità, le mutazioni genetiche. In questo modo la parmigiana di melanzane sebbene in tutto e per tutto simile alle altre parmigiane che ha preparato prima, presenta una minima differenza che la rende più buona o meno buona, più adatta o meno adatta. Se la ricetta modificata piace ai commensali probabilmente verrà riproposta in futuro, se non piace verrà dimenticata.

L’evoluzione funziona in maniera simile, ogni tanto nel DNA avvengono delle mutazioni casuali che possono determinare caratteristiche diverse da tutti gli altri organismi della stessa specie. Queste caratteristiche a seconda dell’ambiente potrebbero esser più funzionali, così che l’individuo portatore avrà un vantaggio evolutivo che gli fornirà maggiori possibilità di sopravvivere e riprodursi e quindi trasmettere la sua mutazione alla progenie. Allo stesso modo se la mutazione porta caratteri non funzionali l’individuo avrà meno possibilità di trasmettere i suoi caratteri alla progenie e quella mutazione tenderà a sparire.

Ora che un biologo dell’evoluzione è morto dopo aver letto questa spiegazione, possiamo procedere a parlare del perché abbiamo evoluto caratteristiche che ci predispongono all’obesità.

Thrifty gene

Una possibile risposta è stata fornita dalla teoria di Neel del 1962 (Neel, 1962). Dopo aver viaggiato e osservato la predisposizione al diabete di popolazioni del sud-America, ha formulato la teoria del gene parsimonioso . Gli individui con una maggior tenenza all’accumulo di riserve energetiche, avrebbero avuto maggior possibilità di sopravvivere in tempi di carestia, potendo così procreare e trasmettere il loro “gene parsimonioso” . Tuttavia il graduale passaggio verso abitudini di vita più sedentarie, visto che guadagnarsi da vivere rincorrendo animali con lance di selce non si usa più e la quasi infinita disponibilità di cibo, avrebbero reso un vantaggio evolutivo, svantaggioso.  Il genotipo parsimonioso quindi sarebbe diventato dannoso per il progresso predisponendoci all’obesità e allo sviluppo di malattie metaboliche.  
I detrattori di questa teoria hanno però mosso alcune osservazioni. Per si è stimato che per la selezione di un gene sarebbero state necessarie 950 carestie, perciò praticamente tutti  dovrebbero esser portatori di queste caratteristiche genetiche essendoci state nella storia dell’uomo dalle 600 alle 5000 carestie. Se così fosse però tutti noi dovremmo essere naturalmente predisposti all’accumulo di grasso, invece c’è sempre quell’amico infame che mangia quanto vuole e non mette su neanche un etto. Per questo motivo sono state fornite altre spiegazioni.

Drifty gene

Una più recente interpretazione è portata dall’ipotesi della deriva del gene di  Speakman (Speakman, 2008) , secondo cui sarebbe stati due gli aspetti promossi dall’evoluzione: da un lato varianti genetiche che minizzavano il rischio di un deficit energetico e quindi la maggior conservazione di grasso (quindi diciamo il gene parsimonioso), dall’altro varianti genetiche che minimizzavano il rischio di predazione.

Andando a vedere i  resti di alcuni scheletri dell’età della pietra e sull’habitus  di alcuni cacciatori-raccoglitori recentemente studiati, i paleoantropologi hanno concluso che il fisico medio delle popolazioni pre-agricultura dovesse assomigliare parecchio a quello dei nostri atleti d’élite (Ruff, 2000a,b).

E poi cosa è successo? L’uomo è diventato stanziale basando la sua attività produttiva non più sulla caccia, ma su agricoltura ed allevamento. La scoperta del fuoco, l’invenzione di armi ma soprattutto la cooperazione sociale hanno reso superflue la capacità di sfuggire al predatore. Le prime varianti genetiche, quelle legate alla conservazione energetica sono rimaste intatte nel nostro genoma, anche perché in effetti la carenza di cibo è un ricordo abbastanza recente. Al contrario tratti genetici che permettevano di non trasformarsi nella cena di qualche animale hanno smesso di esser determinanti per la sopravvivenza, in effetti oggi non è più così comune imbattersi in un mammut in centro. In alcune popolazioni si è quindi verificato un fenomeno noto come  deriva genetica, cioè quelle mutazioni sono semplicemente scomparse. In questo modo solo alcuni si ritroverebbero con una naturale predisposizione e prendere peso. Che fortuna, eh?

In conclusione

Queste ipotesi spiegano almeno in parte il perché molte persone siano predisposte ad ingrassare. Non dimentichiamo però che l’accumulo di peso ha un’eziologia multi fattoriale, data dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Sebbene la componente genetica abbia un’influenza importante, stimata tra il 70 e l’80%, quello che possiamo fare è agire sulla componente ambientale : corretta alimentazione e attività fisica. Affidarsi ad una visione deterministica pensando che tutto sia fuori dal proprio controllo è forse più comodo, privandoci di ogni responsabilità, ma allo stesso tempo ci deruba del diritto di scegliere e autodeterminarci. La morale insomma me la faccio prestare da uno di quei film di formazione imprescindibili:

“Ogni mattina in Africa, non importa che tu sia un leone o una gazzella, l’importante è che ti alzi e corri”.

References

Neel JV. Diabetes mellitus: a “thrifty” genotype rendered detri- mental by “progress”? Am J Hum Genet 1962; 14: 353–362.

Ruff, C.B., 2000a. Body mass prediction from skeletal frame size in elite athletes. Am. J. Phys. Anthropol. 113, 507–517.

Ruff, C.B., 2000b. Body size, body shape, and longbone strength inmodernhumans. J.Hum. Evol. 38, 269–290. Speakman JR. Thrifty genes for obesity, an attractive but flawed idea, and an alternative perspective: the ‘drifty gene’ hypoth- esis. Int J Obes (Lond) 2008; 32: 1611–1617.